Il rap salva i bambini di Tiny Toones.
Nelle periferie di Phnom Penh l'illusione del "sogno americano" non è mai arrivata. Se nasci nelle baracche il tuo destino è in gran parte segnato. Potrai raccogliere lattine, scavando in gruppo tra sacchi di scarti di ristoranti o vendere false guide della Lonely Planet a turisti che si rinfrescano ai tavolini del lungo mare. C'è però chi ha avuto la gran fortuna di conoscere un progetto che forse cambierà la propria vita. Scriviamo di Tiny Toones. Non un'Ong, nè una scuola. Qualcosa di più. Affittiamo una Honda Dream, il mezzo di locomozione per eccellenza in Cambogia. Quello che ti permette di circolare nel traffico e lo smog della città. Ma anche di percorrere l'unica strada che congiunge la capitale alla turistica Siem Reap, un lungo rettilineo di terra battuta, o meglio, un cantiere a cielo aperto. Ci muniamo di cartina e attraversiamo la città in direzione sud. Uno stradone a due corsie pieno di Jeep di lusso, tuk tuk con a bordo turisti curiosi e tanti scooter che trasportano passeggeri, bombole del gas e ceste piene. Un mercato sovraffollato, fatto di bancarelle del cibo ed elettronica made in China. Qualche vicoletto con abitazioni basse e gente che riposa su amache.
E poi un muro dai colori sgargianti con su scritto "Tiny Toones". Accostiamo, siamo arrivati. Non passiamo inosservati. Questa del resto, non è una zona per turisti. Varchiamo il cancello rosso e una miscela esplosiva di suoni, colori e urla ci avvolge. Tanti bambini, dai 5 anni in sù, ci corrono incontro gridando a squarciagola "hello, hello!". Le più piccole ci prendono per mano, vogliono stabilire un contatto che non può essere verbale. I più vivaci ci saltano addosso, euforici. I più timidi ci guardano con un sorriso misto di curiosità. Davanti a noi un corridoio coloratissimo. Le scritte “Emancipate yourself from mental slavery”, “I love Cambodia”, “Tiny Toones” ci accompagnano nel suo attraversamento. Ai lati le classi di musica, inglese, break-dance, khmer, arte. E poi un cortile che al suonare della campanella si trasforma in un insieme confuso di corse, salti, risate. Questa è Tiny Toones. Una scuola che non vuol essere una scuola. Perché qui non si impara semplicemente a leggere o scrivere. Qui si impara a condividere. Il progetto nasce dagli sforzi e la determinazione di Tuy Sobil, per tutti KK. Nato in un campo profughi in Thailandia, è cresciuto in California con la sua famiglia. Sventure di vita e scelte rimpiante lo portano a far parte di una gang e lo costringono poi ad una deportazione forzata in Cambogia. Si ritrova così catapultato in un paese in cui, come tanti altri deportati, non aveva mai vissuto, costretto a ricostruirsi una vita lontano chilometri dalla famiglia. Mentre con tanta difficoltà prova ad andare avanti, si sparge la voce che KK è un break-dancer. I bambini del quartiere bussano più volte alla sua porta, chiedendogli di insegnargli a ballare. Qualche rifiuto, ma poi a vincere è la volontà di dare a questi bambini un futuro diverso dal suo, lontano da droga, criminalità e povertà. Questa la storia, ma è solo l'inizio. Partendo dal proprio salotto adibito a dance studio, Tiny Toones negli anni è cresciuta a tal punto da cambiare 2 volte sede per contenere il numero crescente di bambini, insegnanti e corsi organizzati.
Cos'è oggi Tiny Toones? Lo abbiamo chiesto a KK, il fondatore del progetto
"Qualcosa di più di una scuola. Voglio insegnare ai bambini la vita. Il nostro progetto assomiglia ad un albero di frutta. Crescono con noi e quando sono pronti camminano con le proprie gambe. Non voglio mettere fretta a nessuno, fargli pressione affinché diventino 'qualcuno'. Molte ONG sono rigide, hanno norme da seguire. Noi diamo ai ragazzi la scelta che vogliono. Benvenuti a Tiny Toones!"
Come funziona?
"Abbiamo lezioni di break dance, rapping, beat-making, DJing, inglese, graffiti, khmer, informatica. Ho voluto che fosse così: scuola per qualche ora e poi fuori a divertirsi, a chiacchierare, a correre, insomma a godersi la vita. I bambini crescono con "voglio voglio voglio", ma non sanno dare. "Voglio questo questo questo" ma quando lo ottengono, non sanno condividerlo. La nostra è una scuola di vita. Non diamo semplicemente, insegniamo a condividere".
Quali sono le sfide quotidiane affrontate da Tiny Toones?
"La sfida più grande sono i fondi. Senza quelli non possiamo lavorare. E per una scuola che non vuol essere propriamente una scuola, le cose sono ancora più difficili. Per ottenere fondi da ONG o altri finanziatori devi adottare un certo libro di testo, un certo metodo di insegnamento. Io credo che noi siamo speciali, non siamo come gli altri. Non forziamo i ragazzi, li guidiamo in un percorso, li supportiamo".
E il tuo ruolo, nella "scuola"?
"Non mi definisco un ballerino, né un artista. Sono piuttosto un fratello maggiore. Quando mi chiamano maestro, rispondo: 'non chiamarmi maestro, che così sembro troppo vecchio!'. Non voglio essere notato qui, voglio essere semplicemente KK, un punto di riferimento per loro. Non vogliamo che i bambini ci lascino e continuino a raccogliere lattine. Vogliamo vederli andar via per lavorare da qualche altra parte anziché stare nuovamente per strada. In questo consiste il mio lavoro".
E com'è cambiata la tua vita, con Tiny Toones?
"Quando vivevo negli States mia madre raccoglieva lattine. Non riusciva a trovare altro perché non parlava inglese. In tutti questi anni lei ha sempre colpevolizzata se stessa, e non me, per ciò che mi è successo. Mi ha sempre amato troppo. Io rimpiango quanto l'ho fatta soffrire. Non voglio che questi bambini facciano la stessa fine. La gente dice che sono una minaccia alla società, ma io la società la sfido. Lo faccio per la gente come me. Molti deportati venendo qui in Cambogia si sono fatti togliere i tatuaggi, per paura di non trovare lavoro. Io invece credo che il lavoro si possa trovare. E mi sono tatuato anche un volto! Un tatuaggio che dovevo a mia madre, per quanto l'ho fatta soffrire. L'altro dedicato ai miei ragazzi; questo è un progetto impegnativo, ma loro mi danno tante soddisfazioni".
Prossimi progetti?
"Primo obiettivo è aprire una cucina. Arrivano spesso ragazzi che hanno diciott'anni e non vogliono seguire le lezioni di inglese o altro. Potremo insegnargli a fare pizze o a cucinare hamburger! Così potrebbero cercare lavoro in qualche ristorante o catena di fastfood".
Questa è Tiny Toones: non è una semplice scuola, ma una scuola di vita. E per questo non si ferma mai. KK, gli insegnanti, i responsabili del progetto sono sempre alla ricerca di nuove opportunità per cambiare veramente la vita dei ragazzi delle periferie di Phnom Penh. Qualche mese fa, l'uscita del secondo album e del video musicale “Anakut” che, attraverso un sogno, racconta delle aspirazioni di questi bambini: chi vuol diventare dottore, chi guida turistica, chi cantante (www.tinytoones.org).
Testo di Antonella Clare Vitiello
(Foto di Gaetano Panariello / Antonella Clare Vitiello )
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nelle periferie di Phnom Penh l'illusione del "sogno americano" non è mai arrivata. Se nasci nelle baracche il tuo destino è in gran parte segnato. Potrai raccogliere lattine, scavando in gruppo tra sacchi di scarti di ristoranti o vendere false guide della Lonely Planet a turisti che si rinfrescano ai tavolini del lungo mare. C'è però chi ha avuto la gran fortuna di conoscere un progetto che forse cambierà la propria vita. Scriviamo di Tiny Toones. Non un'Ong, nè una scuola. Qualcosa di più. Affittiamo una Honda Dream, il mezzo di locomozione per eccellenza in Cambogia. Quello che ti permette di circolare nel traffico e lo smog della città. Ma anche di percorrere l'unica strada che congiunge la capitale alla turistica Siem Reap, un lungo rettilineo di terra battuta, o meglio, un cantiere a cielo aperto. Ci muniamo di cartina e attraversiamo la città in direzione sud. Uno stradone a due corsie pieno di Jeep di lusso, tuk tuk con a bordo turisti curiosi e tanti scooter che trasportano passeggeri, bombole del gas e ceste piene. Un mercato sovraffollato, fatto di bancarelle del cibo ed elettronica made in China. Qualche vicoletto con abitazioni basse e gente che riposa su amache.
E poi un muro dai colori sgargianti con su scritto "Tiny Toones". Accostiamo, siamo arrivati. Non passiamo inosservati. Questa del resto, non è una zona per turisti. Varchiamo il cancello rosso e una miscela esplosiva di suoni, colori e urla ci avvolge. Tanti bambini, dai 5 anni in sù, ci corrono incontro gridando a squarciagola "hello, hello!". Le più piccole ci prendono per mano, vogliono stabilire un contatto che non può essere verbale. I più vivaci ci saltano addosso, euforici. I più timidi ci guardano con un sorriso misto di curiosità. Davanti a noi un corridoio coloratissimo. Le scritte “Emancipate yourself from mental slavery”, “I love Cambodia”, “Tiny Toones” ci accompagnano nel suo attraversamento. Ai lati le classi di musica, inglese, break-dance, khmer, arte. E poi un cortile che al suonare della campanella si trasforma in un insieme confuso di corse, salti, risate. Questa è Tiny Toones. Una scuola che non vuol essere una scuola. Perché qui non si impara semplicemente a leggere o scrivere. Qui si impara a condividere. Il progetto nasce dagli sforzi e la determinazione di Tuy Sobil, per tutti KK. Nato in un campo profughi in Thailandia, è cresciuto in California con la sua famiglia. Sventure di vita e scelte rimpiante lo portano a far parte di una gang e lo costringono poi ad una deportazione forzata in Cambogia. Si ritrova così catapultato in un paese in cui, come tanti altri deportati, non aveva mai vissuto, costretto a ricostruirsi una vita lontano chilometri dalla famiglia. Mentre con tanta difficoltà prova ad andare avanti, si sparge la voce che KK è un break-dancer. I bambini del quartiere bussano più volte alla sua porta, chiedendogli di insegnargli a ballare. Qualche rifiuto, ma poi a vincere è la volontà di dare a questi bambini un futuro diverso dal suo, lontano da droga, criminalità e povertà. Questa la storia, ma è solo l'inizio. Partendo dal proprio salotto adibito a dance studio, Tiny Toones negli anni è cresciuta a tal punto da cambiare 2 volte sede per contenere il numero crescente di bambini, insegnanti e corsi organizzati.
Cos'è oggi Tiny Toones? Lo abbiamo chiesto a KK, il fondatore del progetto
"Qualcosa di più di una scuola. Voglio insegnare ai bambini la vita. Il nostro progetto assomiglia ad un albero di frutta. Crescono con noi e quando sono pronti camminano con le proprie gambe. Non voglio mettere fretta a nessuno, fargli pressione affinché diventino 'qualcuno'. Molte ONG sono rigide, hanno norme da seguire. Noi diamo ai ragazzi la scelta che vogliono. Benvenuti a Tiny Toones!"
Come funziona?
"Abbiamo lezioni di break dance, rapping, beat-making, DJing, inglese, graffiti, khmer, informatica. Ho voluto che fosse così: scuola per qualche ora e poi fuori a divertirsi, a chiacchierare, a correre, insomma a godersi la vita. I bambini crescono con "voglio voglio voglio", ma non sanno dare. "Voglio questo questo questo" ma quando lo ottengono, non sanno condividerlo. La nostra è una scuola di vita. Non diamo semplicemente, insegniamo a condividere".
Quali sono le sfide quotidiane affrontate da Tiny Toones?
"La sfida più grande sono i fondi. Senza quelli non possiamo lavorare. E per una scuola che non vuol essere propriamente una scuola, le cose sono ancora più difficili. Per ottenere fondi da ONG o altri finanziatori devi adottare un certo libro di testo, un certo metodo di insegnamento. Io credo che noi siamo speciali, non siamo come gli altri. Non forziamo i ragazzi, li guidiamo in un percorso, li supportiamo".
E il tuo ruolo, nella "scuola"?
"Non mi definisco un ballerino, né un artista. Sono piuttosto un fratello maggiore. Quando mi chiamano maestro, rispondo: 'non chiamarmi maestro, che così sembro troppo vecchio!'. Non voglio essere notato qui, voglio essere semplicemente KK, un punto di riferimento per loro. Non vogliamo che i bambini ci lascino e continuino a raccogliere lattine. Vogliamo vederli andar via per lavorare da qualche altra parte anziché stare nuovamente per strada. In questo consiste il mio lavoro".
E com'è cambiata la tua vita, con Tiny Toones?
"Quando vivevo negli States mia madre raccoglieva lattine. Non riusciva a trovare altro perché non parlava inglese. In tutti questi anni lei ha sempre colpevolizzata se stessa, e non me, per ciò che mi è successo. Mi ha sempre amato troppo. Io rimpiango quanto l'ho fatta soffrire. Non voglio che questi bambini facciano la stessa fine. La gente dice che sono una minaccia alla società, ma io la società la sfido. Lo faccio per la gente come me. Molti deportati venendo qui in Cambogia si sono fatti togliere i tatuaggi, per paura di non trovare lavoro. Io invece credo che il lavoro si possa trovare. E mi sono tatuato anche un volto! Un tatuaggio che dovevo a mia madre, per quanto l'ho fatta soffrire. L'altro dedicato ai miei ragazzi; questo è un progetto impegnativo, ma loro mi danno tante soddisfazioni".
Prossimi progetti?
"Primo obiettivo è aprire una cucina. Arrivano spesso ragazzi che hanno diciott'anni e non vogliono seguire le lezioni di inglese o altro. Potremo insegnargli a fare pizze o a cucinare hamburger! Così potrebbero cercare lavoro in qualche ristorante o catena di fastfood".
Questa è Tiny Toones: non è una semplice scuola, ma una scuola di vita. E per questo non si ferma mai. KK, gli insegnanti, i responsabili del progetto sono sempre alla ricerca di nuove opportunità per cambiare veramente la vita dei ragazzi delle periferie di Phnom Penh. Qualche mese fa, l'uscita del secondo album e del video musicale “Anakut” che, attraverso un sogno, racconta delle aspirazioni di questi bambini: chi vuol diventare dottore, chi guida turistica, chi cantante (www.tinytoones.org).
Testo di Antonella Clare Vitiello
(Foto di Gaetano Panariello / Antonella Clare Vitiello )
© RIPRODUZIONE RISERVATA